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Once Sziget, Always Sziget. Il racconto dell’edizione 2023

Sziget

Secondo giorno – sabato 12 agosto

Il risveglio del secondo giorno è una gioia tra l’orario ritardato (saranno state le 13.00), la morbidezza del materasso e il leggerissimo gulash mangiato a colazione da un posticino caratteristico vicino casa, 14€ e digestione neanche troppo problematica.

Arriviamo sull’isola, stavolta in monopattino (ovviamente sbagliando strada e ritrovandoci in una specie di svincolo autostradale), verso le 17.00, precisi per sentire Mimi Webb cominciare a cantare sul palco principale.

La cantautrice di Canterbury, reduce dalla pubblicazione del primo album “Amelia” pochi mesi fa dopo aver conquistato gli albionici nel 2021 con l’EP “Seven Shades of Heartbreak”, sul palco isolano urla, corre, si sbatte ma non ci conquista col suo poppaccio leggero: poche chitarre, poca rabbia, meglio fare un giro e scoprire le novità che ci propone Sziget in questa edizione.

In primis la più gradita, solo vagamente notata nella prima sera: i bagni chimici non ci sono! e quei pochi che si trovano servono solo per nascondere l’ingresso del Private Party. L’organizzazione li ha sostituiti praticamente tutti con dei container – bagni e docce, servizi igienici comodi per accogliere il pubblico in condizioni sempre più confortevoli. Niente più pozzanghere sospette né puzza di piscio che rimane nelle narici: una rivoluzione per la qualità della vita festivaliera.

E poi il ritorno delle creazioni Art of Freedom, tra lucine, corridoi, statue e gonfiabili: materiale perfetto per foto e selfie che non faremo mai.

L’isola mai come quest’anno è piena di servizi, come un City Center con punto informazioni e servizio clienti, depositi bagagli e valori, un ufficio oggetti smarriti, diversi bancomat, un cambio valuta, parcheggio per biciclette, auto e tanto altro. La sicurezza è garantita dalla squadra di sicurezza, le forze dell’ordine e i vigili del fuoco; inoltre è presente 24 ore su 24 il servizio del centro sanitario, con un ospedale da campo e oltre 200 persone tra medici, paramedici e infermieri. 

Una città in pratica, dove non ci sono auto, la musica non si ferma mai, c’è sempre qualcosa da fare, nessuno è incazzato e tutto è colorato. Insomma il paradiso, in cui manca solo il mare (nelle precedenti edizioni si poteva almeno pucciare i piedi nel Danubio alla spiaggetta, quest’anno il fiume grosso s’è mangiato tutto e della spiaggetta era rimasto molto poco).

Abbagliati dalle luci e dai colori decidiamo di bere le usuali birre d’aperitivo e di sentire l’ex One Direction Naill Horan.

Ecco, Naill Horan è un opening coi controcazzi. Non avrà fatto il botto di Harry Style né i numeri di Louis Tomlinson, ma l’irlandese il mestiere suo lo sa fare, e anche molto bene. Protagonista del set l’ultimo album “The Show”, uscito a giugno con la vetta della UK chart (e il secondo posto nella Billboard 200 USA) e presente in scaletta con quasi tutte le tracce (“Heaven”, “On a Night Like Tonight” e la titletrack “The Show” in apertura, “Save my life” e “Meltdown” in chiusura, prima della celebre e stra cantata “Slow Hands”, anno domini 2017, quanto passa il tempo..).

Il sound è giovane, fresco ma deciso, e soprattutto ammicca l’occhio a tendenze musicali più datate, evidenziando questo suo gusto con la cover dei Tears for Fears “Everybody Wants to Rule the World” e facendo felici noi millennial in attesa di canzoni più vintage.

Anzi molto più vintage, uno stile di cento se non più anni fa, altro che boomer! E tutto ciò a pochi passi dal Main Stage, al Global Village, l’area dedicata alla musica popolare accanto al Dome. È qui che Vinicio Capossela alle 20.00 comincia a farci volare con la sua poesia e la sua taranta.

Io arrivo trafelato, giusto il tempo di perdermi i lenti e di lanciarmi nei ballabili, come in una balera a tarda sera. Platea per lo più italiana è vero, ma non mancano gli stranieri, pronti a lasciarsi trascinare da questa musica che ci fa danzare da secoli. Vinicio rivoluziona la scaletta degli ultimi concerti, un po’ per esigenze di tempo un po’ per venire incontro alla voglia di ballo che la gente trasmette dal prato: tanto valzer, tanta pizzica, “Che cos’è l’ammor” gridata da tutti e “Il ballo di San Vito” che manderebbe in apnea un 19enne allenato, figuriamoci un fumatore attempato.

Con Vinicio mi lascio andare, ritrovo la mia gente, le mie esperienze, i miei amori inespressi. Penso come Nanni Moretti che il mio sogno è sempre stato quello di saper ballare bene, ma al contrario suo non rimango a guardare, proprio no. Mi agito, mi esalto, consapevole di assomigliare più a Pippo di Topolinia che Jennifer Beals nelle movenze, ma chissenefrega: la poesia di Capossela mi è entrata dentro più di 20 anni fa e ad ogni nuova uscita ha conquistato uno spazio sempre più grande nel mio cuore. L’ultimo lavoro, “Tredici canzoni urgenti” è una piccola perla nel piattume musicale italico ed ha giustamente vinto la Targa Tenco come miglior album del 2023: assolutamente da ascoltare.

Il tempo di sentire le ultime note della super band allestita per l’occasione (da segnalare alla batteria Mirco Mariani, guida degli Extraliscio che si erano esibiti nel pomeriggio al lightstage) e via di ritorno al palco principale, cambiando totalmente stile e bpm: è arrivata l’ora del set di David Guetta

David Guetta è uno che alla fine ti sfonda, ma lo fa piano, delicatamente. Lentoviolento, come il suo collega Gigi D’Agostino, omaggiato durante col remix di Bla bla bla (forza Gigi!!). Il francese oramai è hitmaker in tutto e per tutto, e sta cosa ce la fa sentire durante tutti i 90 dello show, tra una “Titanium” e una “When Loves Takes Over”. Ma senza farlo pesare, senza mai interrompere il flow, senza mai farci smettere di ballare.

I’m Good (Blue)” per cominciare e poi giù di cassa dritta e citazioni anni ’90 passando per una doverosa citazione ad Avicii con “Wake Me Up”. E tante birre che in un lampo diventano whisky & cola e gin tonic, tra coadiuvanti e odori sospetti.

Breve ma intenso, Guetta ci lascia con la voglia irrefrenabile di continuare a muoverci. E quale migliore location per farlo della Samsung Party Arena?

La Party Arena è una gigantesca tensostruttura, simile al Dome ma bianca fuori e allestita appositamente per il djing all’interno. Affiancata al Colosseum è il clou del clubbing notturno del festival, il party per antonomasia dell’isola. Qui dentro potrete trovarci ogni sera EDM, techno, minimal, trance, e house mixata da giovani DJ di talento, figure iconiche e formazioni uniche.

Noi arriviamo mentre i Dublic tirano le bombe a mano a 150 bpm. Duo di Budapest, tra techno e drum ‘n bass come piace agli ungheresi, habitué oramai dello Sziget: presa a bene totale. Ma è solo un attimo, perché dall’altra parte dell’isola sta per cominciare il concerto forse che attendevo di più della giornata: quello dei Moderat.

Gernot Bronsert e Sebastian Szary ossia i Modeselektor alla consolle, Sascha Ring aka Apparat tra mix e chitarra, un palco nero, un visual asciutto e un sacco di gente a pendere dalle labbra di un sound perfetto nel suo essere così riconoscibile.

È mezzanotte e mezza quando al Dome partono le prime note di “Ghostmother”, traccia del 2016 che sembra uscita nel 2025 per quanto riesce ad essere leggera e mistica, eterea e malinconica. “I walked to the edge and all fear left”…

A New Error” e poi “Neon Rats”, primo brano in scaletta del nuovo album “More D4ta”, uscito l’anno scorso e considerato perfetto punto di sintesi tra l’anima techno dei Modeselektor e la vocalità di Apparat.

L’equilibrio assoluto tra l’elettronica e la musicalità viene evidenziato ancora di più live da un sound limpido, confezionato per seguire l’emozioni evocate dai brani. E a un concerto dei Moderat le emozioni non mancano di certo, tra ricordi, nostalgie, riflessioni sulla vita e sul tempo. Con la consapevolezza che passa troppo in fretta, specie cantando l’ultimo brano, l’ormai immortale “Bad Kingdom”, uscita dieci anni fa, che cantiamo tutti a squarciagola e che mi fa sentire vecchio e vivo allo stesso tempo.

Ma la giovinezza è uno stato mentale (a prescindere dalle analisi del sangue) e se ne accorgono per primi i nostri corpi, che quasi per inerzia ci portano prima a rifocillarci e poi a chiudere la serata al Colosseum dove alle tre Jeff Mills continua a trascinarci nel passato con il suo groove. Pioniere del clubbing stelle e strisce fin degli anni ’80, eterno mito del Turntablism, Mills ci trascina gioiosi fino alle quattro del mattino, orario in cui anche i nostri corpi alzano bandiera bianca.

Camminata di venti minuti per uscire dall’isola, ponte, treno, letto, canna, nanna. A domani nostalgica Budapest

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