Terzo giorno – Domenica 13 agosto
La domenica si prospetta bollente fin dal risveglio, sia per la line up in programma sia per la temperatura a 30 e passa gradi. Arriviamo sul ponte K allo zenit del sole e pur volendo ascoltare lo pseudo folk di Tom Grennan che si esibisce alle 16.00 sul Main Stage dirottiamo la nostra destinazione dalle parti del Tribute Stage, dove non suona nessuno ma simpatici omini della Lipton distribuiscono fucili ad acqua per improvvisate battaglie di gavettoni.
Fradici ma vincenti decidiamo di rispettare la più tipica delle tradizioni szigettiane: il giro di Palinka, una grappa ungherese che se non la bevete non vi perdete nulla. Col fuoco nell’esofago e la voglia di viaggiare ci dirigiamo verso il Colosseum dove i Secret Factory hanno deciso di far cominciare la serata neanche alle 18.00.
Il duo ungherese colora di atmosfere psichedeliche il pomeriggio di Budapest, sballottandoci tra ritmi techno e armonie esotiche. Stavolta i cocktail arrivano prima, così come la voglia di scoprire spazi ancora inesplorati dell’isola. Tipo l’Art Zone, enorme conca verde tra il Colosseum e la spiaggetta dove le arti e i laboratori si alternano a stanchi campeggiatori che riposano sotto l’ombra di sparuti alberi.
L’anno scorso all’Art Zone mi feci serigrafare una anonima maglietta nera, che ora ha uno stupendo disegno a renderla unica. Quest’anno tra prenotazioni necessarie e liste sempre sold out non siamo riusciti a farci fare neanche una foto analogica, ed è stato un po’ un peccato (ma basta pianificarlo un po’ e non essere sconclusionati come noi per riportare a casa ricordi artistici indelebili).
Il riposino all’ombra ci tempra lo spirito e il corpo: il tempo di un altro giro d’alcolici, un disgustoso pezzo di pizza e via ad ascoltare un altro dei concerti che mai avrei perso, gli M83 al Dome.
La band di Anthony Gonzalez sul palco ungherese presenta “Fantasy”, il nuovo album uscito a marzo: un ritorno al passato, con la freschezza del mastodontico “Hurry Up, We’re Dreaming” impressa in un disco registrato in presa diretta per restituire quella potenza e quel colore che riesce a sprigionare nei live.
Ed è infatti nel live che il provenzale riesce a dare il meglio di sé: le atmosfere mistiche vengono introdotte da “Water Deep” e dal singolone “Oceans Niagara”, per poi ritornare nei magici anni zero con “Teen Angs”. Ecco con gli M83, ancor di più che con Moderat o con Capossela, mi ritrovo a viaggiare nei ricordi e nella nostalgia, e non potrebbe che essere così: quando parte “Wait”, uscita nel 2010 e che ancora mette i brividi, il pubblico diventa un unico grande organismo che respira all’unisono, ipnotizzato dai riff delle chitarre e dalla voce soffiata di Gonzalez.
La chiusura è tutta sublimata su quella perla di album: “Midnight City”, “Mirror”, “Outro”: bella la gen Z, bella la boissiere, bello tutto, ma tra dance anni ’90, tarante e liriche moderne tutte le canzoni che mi hanno fatto emozionare finora hanno più di 10 anni.
Ci penso mentre cammino a sentire la chiusura di Mumford & Sons, giusto il tempo di spizzare “Awake My Soul” e “I Will Wait”. Ci penso cercando di superare i miei bias da boomer, riflettendo su un festival che riesce ad abbracciare tutti i gusti, tutte le fasce d’età, tutti gli stili musicali (anche se quest’anno latitava un po’ il rock, se ripenso che nel 2019 chiusero il Main Stage i Foo Fighters un po’ mi viene il magone). Un festival per tutti, anche per bambini, seppur di tutte le età.
Pensa che ti ripensa, mangia una cosa, bevi un’amarissima acqua e ti passa di mente di andare a sentire i Nothing But Thieves, complici pure i ritmi afro-trance di Kilimanjaro, che sta scaldando gli isolani in vista di un altro set imperdibile: Diplo alla Party Arena.
Thomas Wesley Pentz in arte Diplo, dall’America con furore attraverso super collaborazioni da mal di testa, il mega progetto Major Lazer e tanto clubbing di qualità.
Il piano è quello di una volta: andare sotto cassa, smorfinare fino all’alba, ciondolare a casa. La densità media paragonabile a quella di Hillsborough prima della disgrazia ci porterà a scegliere il fondo dell’arena, magari lontano dal fuoco ma almeno con dello spazio vitale intorno a noi.
Diplo non si fa parlare dietro e acchitta un due ore di elettronica purissima ad alti livelli: lo spettacolo di luci riporta a dimensioni oniriche poco raccontabili e la macchina del suono pompa beat a profusione. Alla consolle il dj americano prima si affianca poi si alterna con Carlita, dj italo-turca che mi piacerebbe raccontare, ma di cui ricordo poco, vista la tarda ora e l’alta gradazione alcolica.
Ore 4.30 e ci appropinquiamo verso casa, in treno ovviamente, consapevoli dell’impossibilità di guidare alcun mezzo in quel momento: a nanna prima possibile, che l’indomani il programma prevede un tour de force non indifferente