Quarto giorno – Lunedì 14 agosto
Giornata all’insegna dell’italianità, nella line up, nell’animo e nella cucina. La sveglia stavolta arriva presto, dopo neanche 4 ore di sonno, ma la motivazione è nobile: un tuffo nel passato col concerto dei Meganoidi al Lightstage
Il Lightstage è il “palco degli Italiani” e anche quest’anno ha offerto concerti di musica dal vivo di artisti giovani, talentuosi, emergenti e famosi provenienti da tutta Europa.
L’area è anche una comoda zona relax di qualità con molta ombra, con un bar e uno smoothie corner in cui gli abitanti di Sziget possono rilassarsi e ricaricarsi per il resto della giornata; è una produzione Alternativa Events e per l’anno 2023 si avvale anche del supporto di Puglia Sounds, della Regione Emilia-Romagna) e dell’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, Lazio Sounds e Sofar Sounds.
È qui che il gruppo di Genova ci fa tornare 16enni in un lampo: “Meganoidi”, “Mia”, “King of Ska?”, il liceo, le prime canne, i primi amori, i baci non dati. E poi le pogate su “Supereroi contro la municipale” che mi costeranno una costola incrinata, dopo che il monopattino della mattina mi era costato una caduta e un ginocchio gonfio. Ma sticazzi, le endorfine inibiscono il dolore e la musica lo cura, e quindi via a ballare anche i brani dell’ultimo album “Mescla”.
E quando comincia il riff di basso di “Zeta reticoli” tutto assume un altro colore. Un centinaio di commoventi compaesani, mai così orgogliosi della loro italianità probabilmente, la cantano all’unisono, a mo’ di inno, regalando momenti felici a chi li sta vivendo.
“Conservo di nascosto lo stesso smalto”, o quasi, visto che sono neanche le tre e già sembro un reduce di guerra. Ma oramai il mood è creato e la giornata sarà così, all’insegna di una finta giovinezza che accuserò sicuramente nei successi giorni se non mesi.
Finito il concerto, dopo aver condiviso un momento speciale con il frontman Davide, decidiamo di affrontare gli infortuni con i metodi galenici, ovvero birra e palinka a profusione, nell’attesa di ascoltare di nuovo un italiano cantare sul Main Stage.
Prima di oggi il tricolore aveva sventolato sul palco più importante dell’isola solo nel 2006 con Jovanotti e nel 2010 coi Subsonica. Stavolta tocca a Lazza fare gli onori di casa e noi non potevamo di certo mancare a questo evento comunque importante per la musica italiana.
Al rapper milanese tocca un pomeriggio assolatissimo e poco frequentato, ma nonostante ciò riesce ad infuocare il pubblico (in maggioranza italiano) che si è assiepato sotto palco da un bel po’. “Ouverture”, “Molotov”, “Bugia”, boom! Lazza attacca a bomba, fregandosene dell’etichetta e non proferendo neanche una parola in inglese (Italians do it better, ao!)
L’elettricità è nell’aria e Jacopo la asseconda aumentando i battiti del suo live, sciorinando a poco a poco quasi tutto l’album “Sirio”, caso discografico dell’anno scorso e turning point della carriera del rapper.
All’aumento dei bmp aumenta la percentuale di pubblico straniero, che si lascia coinvolgere nella chiusura esplosiva con “Piove”, “Uscito di galera”, la riuscitissima “Cenere” e l’incazzata “Ferrari RMX”. Non era un headliner ma la sua porca figura in un super palco internazionale l’ha fatta eccome.
Finita la scaletta la voglia di scoprire posti ancora inesplorati è enorme, ma il tempo corre e facciamo in tempo giusto a sentire con la coda dell’orecchio il live delle The Aces (che a me ricordavano terribilmente The Coors) e di guardare uno spettacolo di equilibrismo indiano al Global Village che è già tempo di un altro spettacolo incredibile, è tempo di Ella Marija Lani Yelich-O’ Connor from Auckland, in arte Lorde.
Lorde è avanguardia pura. È un viaggio psichedelico senza ausili chimici, una prospettiva a-temporale dove i suoni asciutti si fondono respiri e silenzi. Un’esperienza di mistero mai così esplicità. È vita, è amore.
Ed è una setlist da paura, che parte con la mega hit “Royal” e si conclude con la altrettanto super “Green Light”. E in mezzo un decennio di evoluzione artistica, culminato nell’ultima opera “Solar Power” presentata in questo concerto con la titletrack e con “The Path”. Un viaggio di crescita e di ribellione, che l’ha vista contrapporsi a discografici e major e riappropriarsi della propria autenticità artistica.
Sul palco Lorde sembra una veterana: gioca col pubblico come una stand-up comedian navigata, si lascia andare a momenti introspettivi di riflessione e di silenzio. Per poi spaccare tutto con perle come “Liability” e “Homemade Dynamite”, chiudendo con “Ribs” e con “Green Light”, cantata a sorpresa con Caroline Polachek. Chiamate big farma perché la cura al dolore probabilmente è questa, visto che finito il concerto mi sento arzillo come un giovinotto.
Giusto il tempo di mangiare qualcosa e di cominciare il giro dei cocktail che attacca Macklemore, sempre sul Main Stage. Il rapper di Seattle non è tra i miei ascolti preferiti, ma un headliner non si disdegna mai e lo ascoltiamo con piacere rimanendo in disparte a recuperare energie.
Ma è un attimo, perché nel frattempo le casse pompano sempre più forte e tempo di arrivare a “Summer Days” che già stiamo ballando sul pratone tra braccialetti starlight e rose inaspettate. “Wing$”, “These Days”, “Glorius”, “Can’t Hold Us” e poi il classico incontro szigettiano, quello ti cambia la serata ti regala emozioni fortissime e molte volte esagerate.
L’anno scorso fu un fratello giallorosso, insieme alla ricerca di campo per ascoltare in radiocronaca Roma Salernitana mentre si esibivano i Tame Impala. Quest’anno invece è stata una giovanissima sorella glitterata, alla ricerca di scambi colorati che tra un gin tonic e tantissimi glitter ha superato il giustificatissimo timore di passare del tempo con un gruppo di scappati di casa over 35 e con la quale arriveremo a guardare le prime luci del mattino.
Questa è la magia dello Sziget, proprio come in Erasmus: persone che non si conoscono e che in poche ore diventano amici di una vita, sentendo di vivere esperienze che li differenzieranno inevitabilmente da tutti quelli che non le hanno provate, diventando un tutt’uno col luogo che li circonda. Ed è significativo in questo notare l’enorme fidelizzazione degli abitanti dell’isola, che collezionano ormai braccialetti d’ingresso e che comprano biglietti a distanza di un anno e a scatola chiusa, sapendo che comunque il festival regalerà momenti splendidi, a prescindere da chi suonerà.
“Once Sziget, Always Sziget”, proprio come in Erasmus.
E proprio come in Erasmus la voglia di vivere nuove occasioni non finisce mai. Per questo il tempo di prendere qualcosa in tenda (dove non abbiamo mai dormito, ma che è stata un’ottima base d’appoggio per zaini e felpe) e via a volare da sua maestà Sven Väth in un Colosseum mai così gremito come in questa nottata.
Il teutonico attacca prestissimo, verso le 22.00, e subito ci mette le mani addosso col suo ritmo potente. La platea è trasversale, colorata, strafatta e non potrebbe essere altrimenti, siamo comunque ad un festival il 14 agosto. Per la prima volta mi accorgo che l’allestimento della consolle è una gigantesca faccia, con la bocca che vomita bassi come se non ci fosse domani.
Il più frizzante dei miei amici propone di lanciarci sotto cassa ma racimola sono sguardi di biasimo e compassione, anche dai 24enni amici di sorella glitter che nel frattempo si sono uniti a noi.
Gente con 15 anni di differenza, praticamente una generazione, che si ritrova a ballare insieme rapita dal sound di uno che di anni ne ha quasi 60: altro che target e fasce d’età, altro che ricerche e sondaggi, techno tedesca e ci vinciamo pure le elezioni!
Più aumentano i bpm e più diminuisce il ricordo di quei momenti, tra cocktail, amari, amaro e gioia di vivere. Il flusso musicale dalle casse entra nelle vene e ci trascina senza che ce ne rendiamo conto all’1.00 di notte, quando Sven Vath stacca e arriva ai piatti Anetha, anagrafica diversa ma stessa techno incazzata.
E da lì un’unica grande volata, con i corpi che si muovono per inerzia e i cuori che battono all’unisono, verso l’ultimo set della giornata al Party Arena: i nostrani Tale of Us, Carmine Conte (Mrak) e Matteo Milleri (Anyma) direttamente dai migliori club di Ibiza al cuore del clubbing di Sziget per una festa notturna che sembra non finire mai.
Bassi, alti, BMP, fomento, pochi ricordi, pochissime energie, le luci dell’alba lontane e la necessità di ritrovare un letto quanto prima. Sono gli ultimi momenti szigettiani, prima di tornare a casa, fare la valigia e riprendere un aereo poche ore dopo, fresco come non mai.
Anche stavolta tornando in Italia con una montagna di emozioni, di nostalgia, di riflessioni sulla capacità di creare un festival e di gestirlo così bene. Un festival che per me, e come per chiunque altro ci abbia vissuto qualche ora, sarà come l’Erasmus: sempre nel cuore.